C’erano una volta i “luddisti” cioè quelli che volevano andare avanti …… guardando indietro……

Leggendo certe prese di posizione (anche di amministratori e qualche imprenditore non particolarmente lungimirante) viene in mente il luddismo un movimento di qualche secolo fa. Il luddismo è stato infatti un movimento di protesta operaia, sviluppatosi all’inizio del XIX secolo in Inghilterra, caratterizzato dal sabotaggio della produzione industriale. Macchinari come il telaio meccanico, introdotti durante la rivoluzione industriale, erano infatti considerati una minaccia dai lavoratori salariati, perché causa dei bassi stipendi e della disoccupazione. La distruzione di macchine industriali come segno di protesta avvenne già alla fine del XVIII secolo, ma solo sotto l’influenza della Francia e dei giacobini inglesi la protesta prese i caratteri di un movimento insurrezionale.

Il nome del movimento deriva da Ned Ludd, un giovane, forse mai esistito realmente, che nel 1779 avrebbe distrutto un telaio in segno di protesta. Ludd divenne simbolo della distruzione delle macchine industriali e si trasformò nell’immaginario collettivo in una figura mitica: il Generale Ludd, il protettore e vendicatore di tutti i lavoratori salariati oppressi dai padroni e sconvolti dalla rivoluzione industriale.

Oggi con il termine “luddismo” si indicano tutte le forme di lotta violenta contro l’introduzione di nuove macchine e – per estensione e con intento denigratorio – ogni resistenza dei lavoratori al mutamento tecnologico.

Chi sono quindi i nuovi “luddisti”? Proviamo a identificarne qualcuno? Ad esempio chi insiste nel privilegiare il trasporto su strada con incentivi sulla mobilità individuale delle persone (nuove strade invece di manutenzione di quelle già esistenti); chi penalizza il trasporto pubblico locale su ferro a favore del traffico su gomma sia per le persone che per le merci; chi continua a cercare metano nel sottosuolo (e sotto il mare) con nuove trivellazioni anche se ve ne è ben poco; chi finanzia con incentivi e sovvenzioni, pratiche obsolete per estrarre energia non rendendosi conto che perfino le grandi aziende internazionali volgono lo sguardo da un’altra parte.

L’esperienza insegna che in ogni caso in cui ci si oppone a mutamenti tecnologici che alleggeriscono e/o sostituiscono lavori pesanti e obsoleti si è destinati a perdere. Non hanno prospettive sia le aziende che non sono in grado di rinnovarsi e stare sui mercati che i lavoratori che si oppongono invece di chiedere alle imprese di mettersi al passo con i tempi e di finirla con la logica della scarsa qualità delle produzioni e dei salari bassi. Anche per i lavoratori la soluzione non è la resistenza ottusa alle novità, bensì la pretesa di una qualità più competitiva e della condivisione dei benefici derivanti dai mutamenti tecnologici e dal progresso, con salari più alti e attraverso la riduzione degli orari di lavoro e la crescita della qualità del lavoro ottenibile, potenziando la ricerca, la formazione e l’aggiornamento costante.

S/W Ver: 85.97.CDP


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