Nella discussione sulla attuale crisi sanitaria causata dal coronavirus è spuntata con frequenza la possibilità di una relazione fra l’incidenza del virus – che ha provocato finora oltre ventimila morti in Italia – e l’inquinamento da polveri sottili, dovuto a diverse cause. La questione è stata sollevata in marzo dalla pubblicazione di uno studio della Sima (Società Italiana di Medicina Ambientale), insieme alle Università di Bari e di Bologna, che ha confrontato le mappe delle aree più colpite dal contagio con i dati ufficiali dell’inquinamento da polveri sottili nelle province più colpite dal virus e chiedendo approfondimenti sulla questione da parte delle istituzioni.
Ne è seguita una dichiarazione piuttosto piccata dell’Assessore Regionale all’Ambiente dell’Emilia Romagna seguita da quello della Regione Lombardia che definiva: “’L’associazione tra smog e Coronavirus un’ipotesi non verificata” e aggiungeva di “dare ai cittadini informazioni basate su ricerche accurate e approfondite, per coinvolgerli in modo consapevole e utile”. Il tutto si è appoggiava anche ad una affermazione della Società Italiana di Areosol che definiva la notizia “parziale e prematura”. Evidentemente non era gradita una notizia che ha la forza di mettere in discussione le politiche sulla mobilità basata sulle grandi opere stradali e sulla gestione del territorio perseguita per decenni e denunciata ogni volta da urbanisti, comitati locali e associazioni ambientaliste.
Negli ultimi giorni si sono succeduti numerosi pronunciamenti di ambienti della ricerca scientifica a sostegno della posizione secondo la quale tra inquinamento atmosferico e COVID-19 ci sono interazioni.
Tra queste:
– Copernicus, ovvero il programma di monitoraggio e osservazione della Terra (dell’UE), scrive che “Al momento non ci sono prove che l’inquinamento atmosferico stia giocando un ruolo nella diffusione della Sars-Cov-2 – spiega Vincent-Henri Peuch, direttore del Copernicus atmosphere monitoring service (Cams) – Tuttavia, è comprovato che l’inquinamento atmosferico influisce sulla salute cardio-polmonare e sulla risposta immunitaria”.
.- lo studio Exposure to air pollution and COVID-19 mortality in the United States condotto da un team internazionale in forze all’Università di Harvard e vede come autore senior la Prof. Francesca Dominici, in qualità di co-direttrice di Harvard Data Science sostiene che «L’aumento di solo 1 μg/m3 di PM2.5 è associato ad un aumento del 15% nel tasso di mortalità da Covid-19».
– quanto ha esposto due giorni fa a Geo (Rai 3) il Prof. Leonardo Becchetti, professore ordinario di Economia politica presso l’Università di Roma2 Tor Vergata che si è basato sulle numerose ricerche in questo senso sia in Europa che negli Stati Uniti e in Canada..
– la dichiarazione del presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Prof. interrogato da un giornalista di Report che ha affermato la necessità approfondire le indagini nella stessa direzione.
– Di particolare rilievo quanto dichiarato dal Prof. Walter Ricciardi, componente del Comitato Esecutivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e consulente del Ministro della Salute in materia di COVIT-19. Ricciardi, interrogato dal giornalista Giorgio Zanchini, all’interno della rubrica condotta su RAI 3, ha risposto che la cosa “è plausibile e da approfondire”. Si tratta di un termine che l’enciclopedia Treccani definisce “accettabile dal punto di vista logico, che appare ragionevole e convincente”.
Categorie:Dall' Emilia Romagna, I documenti, Le notizie
Rispondi