Il Fiume Senio è stato, per oltre un secolo, un confine importante della storia. E pensare che fino a qualche tempo fa avevo pensato che il Senio fosse stato al centro della grande storia unicamente per i tragici mesi vissuti tra la fine del 1944 e il 10 aprile 1945 (la primavera della liberazione dal nazifascismo).
L’occasione di aggiungere qualcosa di più alle mie conoscenze letterarie in merito al fiume di casa mia è stata creata dalla decisione del Governo e della cabina di regia degli scienziati di consigliare “i diversamente giovani ” come me di “stare in casa” il più possibile. Oltre all’opportunità di informarsi, circa l’andamento della battaglia sul “corona virus”, ho avuto la possibilità di occupare il tempo libero cercando di saperne di più, attingendo agli scaffali di casa, a internet e aumentado, finche si può, le visite presso la Biblioteca Comunale. Ed è così che ho cominciato a sfogliare un interessante volumetto, autore Claudio Azzara, docente all’Universita di Salerno, dal titolo: “Andare per l’Italia Longobarda” edito dal “Mulino” e pubblicato nel dicembre 2019. Mi ha sorpreso leggere fra l’altro, qualche paragrafo che parla del fiume Senio e che riferisce della resistenza alla “montante pressione dei longobardi “ sul territorio che viene definito “l’area esarcale centrata su Ravenna, distesa lungo il litorale e rimasta nella sfera bizantina …., grosso modo, quella che noi chiamiamo Romagna, la terra dei romani”. Prosegue raccontando della temporanea “occupazione dell’importante porto di Classe, subito ripreso dell’esarca Smaragdo entrato in carico nel 585 d.p.”. “Dal canto suo – annota l’autore – l’impero, forse già a partire dagli anni settanta del VI secolo, di fronte all’avanzata longobarda nell’Aemilia aveva provveduto a rafforzare una linea di fortificazioni appenniniche a protezione di Ravenna, che dalla Vena del Gesso correva a valle lungo il fiume Senio, distendendosi nella pianura fino ai centri di Bagnacavallo, Argenta e Ferrara”.
Da tenere presente che all’epoca e fino al 1152 (Rotta di Ficarolo e deviazione del Po verso nord est), un tratto del corso del Po (allora si chiamava Eridano) corrispondeva grosso modo a quello dell’attuale fiume Reno e raccoglieva (si fa per dire) sia le acque del Senio che del Santerno. L’autore annota appunto che questo sistema fortificato che andava dalla Vena del Gesso fino alla confluenza nel “Po di Primaro” e poi a Ferrara, “finì sgretolato sotto i colpi dei longobardi, in particolare negli anni dieci e venti del VII secolo” lasciando il posto ad una frontiera “permeabile agli scambi tra i due ambiti che essa separava, tanto da richiedere all’occorrenza specifiche relazioni come avvenne con una norma codificata dal Re Astolfo nel 750, la quale vietava i commerci fra longobardi e romani dell’esarcato che non fossero stati autorizzati dal Re, proprio mentre era in corso l’offensiva finale contro Ravenna”.
Di che traffici si trattava – come annota Azzaro – lo “provano documenti quali una carta dell’epoca di Liutprando che mostra un intenso e regolare flusso commerciale lungo il Po per iniziativa dei mercanti di Comacchio (città dell’esarcato), i quali risalivano il fiume per vendere nelle varie località dell’entroterra longobardo le merci da loro raccolte lungo le Coste Adriatiche”. Infatti il documento fissava i pedaggi in sale e olio, pepe, garum* che costoro dovevano versare nei diversi porti padani per cui transitavano (es. le foci del Mincio, dell’Oglio, di Parma, di Cremona, della Foce Lambro e Piacenza).
* Il “Garum” dei romani corrisponde all’odierna “colatura di alici”.
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