Secondo il ministero dell’Ambiente ammontano a 16,1 miliardi di euro i sussidi ambientalmente dannosi erogati ogni anno, e il comparto energetico riveste un ruolo di primo piano nella partita, tanto che i sussidi (diretti e indiretti) garantiti ai combustibili fossili ammontano a 15,2 miliardi di euro nel 2016. Cancellarli forse non farebbe calare drasticamente le emissioni di CO2 del Paese, anche se potrebbe aiutare e certamente libererebbe risorse economiche importanti da destinare allo sviluppo di efficienza energetica e rinnovabili, e/o a scopi di sostenibilità sociale.
Al contempo, inaugurare una carbon tax (ovvero la tassazione della CO2 auspicata anche dal Cmcc) pari a 20 €/t, come recentemente ipotizzato dal direttore scientifico del Kyoto Club Gianni Silvestrini, permetterebbe di ridurre l’emissione di gas serra e al contempo recuperare gettito per altri 8 miliardi di euro – anch’essi reinvestibili nel perseguimento degli obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale.
Una strategia concreta che ha già case history d’eccellenza da poter vantare, come quello della Svezia: nel Paese scandinavo dall’introduzione della carbon tax negli anni ’90 il Pil è cresciuto del 58% mentre le emissioni di gas serra sono calate del 23%, tanto che adesso la Svezia ha già approvato una legge che impegna la nazione a divenire carbon neutral entro il 2045. Una strada che potrebbe percorrere anche l’Italia se solo lo volesse.
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