Una bella assemblea popolare per il Fiume Senio a Rossetta. Temi: i cambiamenti climatici, sicurezza idraulica, disponibilità di acqua durante i periodi di siccità – Le casse di espansione del Senio, promesse da quasi 30 anni, saranno pronte nel 2020?

Piena Senio 2015b

Una delle piene più recenti vista dal ponte fra Fusignano e Masiera (2015)

Il 2017 ha visto una lunga stagione siccitosa. Da qualche settimana è la volta di precipitazioni tali da sollevare la paura di alluvione con allagamenti in città e campagne. Giustamente l’attenzione si concentra quindi anche sullo stato di fiumi e altri corsi d’acqua della Bassa Romagna. In questo contesto a Rossetta, località con case a 10 o al massimo 200 metri dagli argini del Torrente Senio, divisa fra Bagnacavallo e Fusignano, e a due passi dall’abitato di Alfonsine, si è svolta una serata dedicata al fiume. Nonostante in questo periodo non vi sia molta partecipazione dei cittadini ad iniziative di questo tipo si è registrato un buon afflusso alla serata organizzata dagli “Amici del Senio”. Lo hanno notato anche i rappresentanti istituzionali presenti, abituati a ben più scarse presenze alle loro iniziative. E’ stata un’occasione per misurare anche i comportamenti degli amministratori e le distanze fra promesse, auspici e realizzazioni concrete. I temi principali erano la valorizazione del patrimonio paesaggistico del fiume e della campagna circostante e le possibilità (anche economiche ed occupazionali legate al rilancio del territorio) ma sopratutto i temi della sicurezza idraulica, della disponibilità di acqua per gli usi civili e la tutela del territorio dalla subsidenza (abbassamento del terreno) in relazione alle estrazioni di acqua e gas dal sottosuolo.

Una prima cassa di espansione è stata realizzata da alcuni anni ma non può entrare in funzione perchè mancano sia il secondo invaso che le opere nesessarie per il funzionamento.

Gli interventi (sia quelli dei due relatori che quelli dei cittadini) hanno riguardato in gran parte il pericolo di esondazione e/o straripamento del fiume Senio in relazione ai cambiamenti climatici e al grave ritardo della costruzione delle casse di espansione promesse, promesse da quasi 30 anni e di anno in anno spostate nel tempo. Alla fine della serata il rappresentante della Regione, responsabile per il bacino del Reno, che comprende anche il Senio e il Santerno, ha annunciato che nei prossimi 12 mesi si farà l’appalto per la seconda cassa di espansione da costruire sul Senio nei pressi di Cuffiano (Riolo Terme) e per gli impianti necessari per il funzionamento dei due invasi che consentirebbero di ridurre il rischio per i centri abitati e le campagne che si trovano al lato del fiume. La fine dei lavori e la conseguente entrata in funzione delle due casse di espansione, sarebbe dovuta arrivare nel 2015 e, ora, viene fissata alla fine del 2020 (se tutto va bene).

Purtroppo anche questa importante opera dà, una grossa mano, non tale da risolvere del tutto il problema della sicurezza, contenere le acque nei periodi piovosi e soddisfare i fabbisogni idrici agricoli nei periodi di siccità.

Servono azioni programmate che garantiscano sicurezza idraulica e disponibilità di acqua per l’agricoltura e gli altri servizi.

Il rappresentante della Regione nel suo intervento ha ribadito che i cambiamenti climatici stanno infittendo gli eventi eccezionali e ha sostenuto che la portata in caso di eventi piovosi sempre meno eccezionali è molto superiore alla capacità di smaltimento del fiume in diversi punti, specie sotto il Ponte della Via Emilia tra Castelbolognese e Faenza, causa di ripetuti allagamenti. Ci si chiede quindi come realizzare azioni che garantiscano la sicurezza, lo sviluppo e la difesa dell’ambiente, con il bisogno d’acqua delle città e dei campi. Come affrontare l’emergenza rilevata dal Piano Regionale di Tutela delle acque, che ha evidenziato una carenza di 100 milioni di metri cubi d’acqua per le esigenze civili, industriali e agricoli. La siccità del 2017 ricorda i problemi creati dalla siccità nel 2003 e dalla tropicalizzazione del clima che sta mettendo a dura prova i rifornimenti di acqua per tutta la collettività e in particolare il sistema irriguo delle campagne e nei periodi piovosi mette in pericolo la sicurezza dei paesi. .

Le risposte ci sono! Ad esempio fin dal 21 luglio del 2004 due organizzazioni diverse fra di loro (Legambiente e Coldiretti dell’Emilia Romagna) avevano elaborato una proposta ben precisa articolata in tre punti principali: l’uso delle cave dismesse, per creare durante i periodi piovosi bacini di stoccaggio delle acque da riutilizzare nei periodi di siccità; la creazione di casse di espansione per ridurre le piene dei fiumi e consentire la penetrazione delle acque nelle falde sotterranee; la creazione di piccoli bacini aziendali o interaziendali per l’accumulo delle acque piovane e/o in derivazione dai fiumi.

L’immagine (ormai storica) dell’alluvione del Senio nel 1949. Le acque ruppero l’argine a Fusignano e arrivarono fino alle porte di Alfonsine,  che si salvò solo grazie al lavoro della popolazione rinforzò l’argine di un canale conosciuto come la “Fossa Bacocla” con sacchi di sabbia e terra.

La proposta si inseriva nelle procedure della Regione per il Piano territoriale regionale (Ptr) – approvato dalla Regione Emilia Romagna nel 2005, e denunciava le cause della situazione: 1) il raddoppio in 25 anni (dal 1980 al 2005) della superficie impermeabilizzata, costituita da strade, edifici ed aree industrializzate, era raddoppiata; 2) la quantità d’acqua riversata direttamente in fiumi e canali e le attività estrattive, che già allora avevano abbassato l’alveo dei fiumi determinando un’accelerazione dello scorrimento delle acque, impoverendo la disponibilità delle falde sotterranee. La realizzazione di casse di espansione veniva indicata come strumento per rallentare il deflusso delle acque, riducendo quindi i rischi di piene, e permetterebbe un accumulo da utilizzare nei periodi siccitosi. Contemporaneamente, Coldiretti e Legambiente, proponevano di “avviare un programma di realizzazione di bacini aziendali e interaziendali nelle zone pedemontane e collinari per raccogliere le acque piovane e quelle di piccoli rii e torrenti in modo da assicurare una riserva d’acqua ad uso agricolo e zootecnico, salvaguardando contemporaneamente l’ecosistema e la qualità ambientale dei corsi d’acqua”.

Affrontando concretamente i problemi le due associazioni chiesero alla Regione di prevedere nel Piano territoriale delle acque uno studio per individuare le aree idonee alle casse di espansione, censire le cave disponibili e individuare le aree geologicamente stabili sull’Appennino emiliano romagnoli per realizzare i bacini di raccolta. A seguito di questo la Regione – sotto la spinta e con la collaborazione di Legambiente, Coldiretti e Consorzi di Bonifica mise fine alla richiesta di grandi invasi molto costosi e meno efficienti (Dighe di Vetto e Castrola fra le altre) – e definì un programma che individuava, per ogni bacino idrico dell’Emilia Romagna, le opere sufficienti a trattenere le acque per conservarle e garantire la disponibilità di acqua per l’agricoltura, nei periodi siccitosi. Si trattava (e si tratta) di opere piccole ma molto diffuse, da realizzare nelle aree di “conoide” (la fascia tra la collina e la pianura nella quale il terreno è più permeabile), al fine di rifornire d’acqua il sottosuolo oggetto di una vera e propria rapina negli ultimi decenni. Tra l’altro questo impoverimento delle falde sotterranee con il prelievo di gas e di acqua aveva determinato e continua a provocare in aree molto vaste il fenomeno di subsidenza (abbassamento del suolo) che provoca gravi danni (anche a distanza di decenni).

Tagliare gli alberi ingombranti va bene è necessario garantire la copertura erbosa ed arbustiva che rende gli argini più robusti.

Purtroppo l’azione che ne è seguita è stata carente e limitata. In ogni caso non sufficiente a risolvere i problemi. Nonostante le prescrizioni seguite al Piano Regionale in realtà si continua a preferire anche da parte di dirigenti del settore una discussione centrata sulla esigenza di velocizzare il decorso della acque ignorando che il vero problema è quello di rallentare la velocità delle acque con una maggiore capacità di assorbimento di acqua da parte del terreno e una riduzione della capacità di erosione delle sponde. Anche perchè, come è stato spiegato dagli stessi dirigenti che propongono la velocizzazione, se la piena va più veloce, si accumula di più e in caso di ostacoli al deflusso. Nel Caso del Senio, se si verifica una piena concomitante del Fiume Reno, del quale il Senio è un affluente, se si trovano difficoltà dell’acqua a defluire a valle o in mare, causa mareggiate, il rischio aumenta soprattutto per i paesi a valle (es. Alfonsine e Fusignano). Altrettanto dicasi per il Santerno. E’ certo che bisogna tagliare quegli alberi che creano pericoli negli alvei, ma è necessario garantire la copertura erbosa e arbustiva che protegge gli argini dall’erosione della corrente, effettuando interventi intelligenti ed accorti sulla vegetazione, non come quelli che si sono visti negli ultimi anni che spesso hanno creato problemi invece di risolverli.

Vedi: Il Documento Legambiente/Coldiretti del 21 luglio 2004

 



Categorie:Le notizie

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